BG XIII.8-12
L’umiltà, la modestia, la non-violenza, la tolleranza, la semplicità, l’accettazione di un maestro spirituale autentico, la purezza, la costanza, il controllo di sé, la rinuncia agli oggetti del piacere dei sensi, la libertà dal falso ego, la percezione che nascita, malattia, vecchiaia e morte sono mali funesti, il distacco dai legami familiari (moglie, figli, casa e ciò che li riguarda), l’equanimità in ogni situazione, piacevole o dolorosa, la devozione pura e assidua per Me, il desiderio di vivere in luoghi solitari e il disinteresse per la società materialista, il riconoscimento dell’importanza della realizzazione spirituale e la ricerca filosofica della Verità Assoluta: Io dichiaro che questa è conoscenza e ciò che vi si oppone è ignoranza.
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SPIEGAZIONE: Alcune persone di scarsa intelligenza scambiano questo metodo di acquisizione, della conoscenza per l’interazione degli elementi del campo d’azione, mentre si tratta in realtà dell’unica vera via di conoscenza che permette di avvicinare la Verità Assoluta. Non solo non rappresenta l’interazione dei ventiquattro elementi materiali descritti prima, ma è il modo di sfuggirvi. L’anima incarnata è imprigionata nel corpo composto di ventiquattro elementi e il metodo qui descritto le servirà per liberarsi. La prima riga del verso undici rivela l’elemento più importante: la via della conoscenza culmina nel puro servizio di devozione offerto al Signore (mayi cānanya-yogena bhaktir avyabhicāriṇī). Se non arriviamo al servizio di devozione, gli altri diciannove elementi non avranno alcun vero valore, mentre se ci dedichiamo ad esso in piena coscienza di Kṛṣṇa, gli altri elementi si svilupperanno spontaneamente in noi. Lo Śrīmad-Bhāgavatam (5.18.12) lo conferma: yasyāsti bhaktir bhagavaty akiñcanā sarvair guṇais tatra samāsate surāḥ, tutte le buone qualità legate alla conoscenza si sviluppano nella persona che adotta il servizio di devozione.
Il principio espresso nel verso otto sull’accettazione di un maestro spirituale è essenziale e di primaria importanza anche per chi desidera intraprendere con successo il sentiero della devozione, perché la vera vita spirituale comincia solo con l’applicazione di questo principio. Dio, la Persona Suprema, Śrī Kṛṣṇa stabilisce chiaramente qui che questa via di conoscenza è la vera via; ogni elucubrazione, ogni cosa che se ne allontana non è che banalità.
Gli elementi sopra indicati come costitutivi della conoscenza possono essere analizzati come segue. L’umiltà è la caratteristica di chi non cerca la soddisfazione di vedersi onorato dagli altri. La nostra concezione materiale dell’esistenza ci rende sempre assetati di onori, ma per la persona dotata di vera conoscenza, cioè consapevole di essere distinta dal corpo, tutto ciò che riguarda il corpo, come l’onore o il disonore, è inutile. È bene quindi non cercare questi onori materiali ingannevoli. Capita spesso che persone ignare dei princìpi religiosi, ma desiderose di apparire come grandi spiritualisti, aderiscano a gruppi pseudo-spirituali che in realtà non seguono alcun principio di spiritualità e in seguito si presentino come guide religiose. Nella scienza spirituale, però, bisogna avere un criterio per valutare il proprio progresso e gli elementi che stiamo studiando ci permettono di farlo.
Si crede generalmente che la non-violenza significhi soltanto non uccidere o non provocare lesioni al corpo, ma la vera non-violenza consiste nel non causare angoscia agli altri. L’ignoranza imprigiona la maggior parte delle persone in una concezione materiale della vita e le fa soffrire perpetuamente in questo mondo, pertanto si farà loro violenza se non si cerca di elevarle alla conoscenza spirituale. Tutto il possibile dev’essere fatto per dare a ogni essere la vera conoscenza che porta all’illuminazione e alla libertà dall’imprigionamento materiale. Solo in questo caso si potrà parlare di vera non-violenza.
Tolleranza significa saper sopportare gli insulti e il disonore. Quando si cerca di coltivare il sapere spirituale, ci si espone a molti affronti; così vuole la natura materiale. Prahlāda, ad esempio, un bambino di cinque anni che aveva già intrapreso la via della realizzazione spirituale, si trovò in pericolo a causa del padre, che si opponeva con forza alla sua fede. Il padre cercò di ucciderlo in molti modi, ma Prahlāda diede prova di grande tolleranza. Anche se numerosi ostacoli si ergono sulla via del progresso spirituale, bisogna imparare a tollerarli e continuare il cammino con determinazione.
Semplicità vuol dire essere franchi e diretti nel dire la verità, senza mistificazioni, anche a un nemico.
Quanto all’accettazione di un maestro spirituale autentico, è essenziale, perché senza le sue istruzioni non si può progredire nella scienza spirituale. Il discepolo deve avvicinarlo con umiltà, pronto a servirlo, in modo che egli sia felice di accordargli le sue benedizioni {BG IV.34}. Poiché il maestro spirituale è il rappresentante di Kṛṣṇa, la potenza delle sue benedizioni è tale da garantire il progresso immediato del discepolo, anche qualora questi non osservasse i princìpi regolatori della vita spirituale. Del resto, questi princìpi gli risulteranno più facili da osservare se serve con ardore il suo maestro.
Anche la purezza è necessaria al progresso spirituale. Quando si parla di purezza s’intende quella interna, ma anche la pulizia esterna, che si ottiene lavandosi regolarmente. La purezza interna si acquisisce pensando sempre a Kṛṣṇa e cantando assiduamente i Suoi santi nomi (Hare Kṛṣṇa, Hare Kṛṣṇa, Kṛṣṇa Kṛṣṇa, Hare Hare / Hare Rāma, Hare Rāma, Rāma Rāma, Hare Hare) in modo da liberare la mente da tutta la polvere del karma passato.
Costanza significa essere fermamente determinati a fare progressi nella vita spirituale, perché senza determinazione non può esserci alcun avanzamento concreto.
Il controllo di sé consiste nel rifiutare tutto ciò che potrebbe nuocere al progresso spirituale ed è questa la vera rinuncia. I sensi sono così impetuosi che cercano sempre nuovi piaceri, ma bisogna evitare di cedere alle loro richieste non indispensabili e soddisfare i sensi solo quanto basta per mantenere il corpo in buona salute, per compiere il proprio dovere e avanzare nella vita spirituale. L’organo di senso più importante e più difficile da controllare è la lingua, se si riesce a dominarla diventerà possibile dominare tutti gli altri sensi. La lingua ha due funzioni: gustare e far vibrare dei suoni. Sistematicamente e in modo regolato bisogna dunque controllarla dandole da gustare i resti del cibo santificato offerto a Kṛṣṇa e facendole cantare il mantra Hare Kṛṣṇa. Gli occhi non dovrebbero guardare nient’altro che la forma affascinante di Kṛṣṇa, gli orecchi dovrebbero ascoltare ciò che riguarda Kṛṣṇa e il naso sentire il profumo dei fiori offerti a Lui. Questa è la scienza del servizio di devozione e si può vedere da questo verso che insegnarla è l’unico scopo della Bhagavad-gītā. Certi commentatori poco sensati tentano di deviare l’attenzione del lettore su altri soggetti, ma in realtà la Bhagavad-gītā tratta esclusivamente del servizio di devozione.
Il falso ego è l’identificazione col corpo, ma chi sa di essere un’anima spirituale distinta dal corpo conosce il vero ego. L’ego è sempre presente, da condannare è il falso ego, non quello vero. I Testi vedici (Bṛhad-āraṇyaka Upaniṣad 1.4.10) insegnano: ahaṁ brahmāsmi, "io sono Brahman, sono di natura spirituale." Questo "io sono", questa percezione di sé, permane anche dopo la liberazione. Questo Senso dell’io applicato al corpo prende il nome di falso ego, mentre riferito all’anima rappresenta il vero ego. Alcuni filosofi vorrebbero farci abbandonare il nostro ego, ma ciò è impossibile perché l’ego è sinonimo d’individualità. Quello che si deve abbandonare è invece ogni identificazione col corpo.
Occorre anche diventare consapevoli delle sofferenze a cui ci espongono la nascita, la malattia, la vecchiaia e la morte. Nei Testi vedici leggiamo numerose descrizioni della nascita. Lo Śrīmad-Bhāgavatam, per esempio, dipinge con efficacia il mondo in cui vive il bambino prima di nascere, la sua permanenza nell’utero della madre e le sue sofferenze. Dobbiamo renderci conto di quanto sia penoso nascere, ed è proprio l’oblio delle sofferenze vissute nel grembo di nostra madre a impedirci di cercare la liberazione dal ciclo di nascita e morte. Inoltre, molte altre sofferenze ci attendono al momento della morte, tutte descritte nei Testi vedici. È bene conoscere queste cose. Quanto alla malattia e alla vecchiaia, prima o poi tutti ne fanno esperienza; nessuno desidera ammalarsi o invecchiare, ma nessuno può evitarlo. Se non si ha una visione pessimistica dell’esistenza materiale, con i tormenti della nascita, della malattia, della vecchiaia e della morte, si rischia di non avere lo stimolo necessario a progredire spiritualmente.
Per quando riguarda il distacco dalla famiglia e dalla casa, non si tratta di reprimere i sentimenti naturali verso la moglie e i figli, ma quando essi rappresentano un ostacolo alla vita spirituale è meglio distaccarsene. Il modo migliore di rendere felice la propria casa è diventare coscienti di Kṛṣṇa; è sufficiente cantare Hare Kṛṣṇa, Hare Kṛṣṇa, Kṛṣṇa Kṛṣṇa, Hare Hare / Hare Rāma, Hare Rāma, Rāma Rāma, Hare Hare, mangiare i resti santificati del cibo offerto a Kṛṣṇa, leggere Scritture come la Bhagavad-gītā e lo Śrīmad-Bhāgavatam, e rendere culto al Signore nella Sua forma arcā. Queste quattro attività renderanno gioioso chiunque le pratichi.
Ognuno dovrebbe invogliare i propri cari a seguire questa via. Mattina e sera tutta la famiglia può riunirsi e cantare Hare Kṛṣṇa, Hare Kṛṣṇa, Kṛṣṇa Kṛṣṇa, Hare Hare / Hare Rāma, Hare Rāma, Rāma Rāma, Hare Hare. Chi può modellare la vita familiare su questi quattro princìpi e sviluppare la coscienza di Kṛṣṇa non ha alcun bisogno di lasciare la casa e accettare l’ordine di rinuncia (il sannyāsa), ma se i legami familiari sono di ostacolo al progresso spirituale non si deve esitare a troncarli. Come Arjuna, bisogna essere pronti a sacrificare tutto per conoscere e servire Kṛṣṇa. Arjuna non voleva uccidere i componenti della sua famiglia, ma quando capì che rappresentavano un ostacolo alla sua realizzazione spirituale, seguì le istruzioni di Kṛṣṇa e combatté.
In ogni circostanza dobbiamo distaccarci dalle gioie e dai dolori della vita familiare, perché è impossibile in questo mondo essere del tutto felici o del tutto infelici.
Gioie e dolori vanno di pari passo con l’esistenza materiale, bisogna dunque imparare a tollerarli, come raccomanda la Bhagavad-gītā. Gioie e dolori vanno e vengono a prescindere dalla nostra volontà, conviene quindi staccarsi dal materialismo e sviluppare l’equanimità. Di solito esultiamo quando si verifica un evento favorevole e ci rattristiamo nel caso contrario, ma sul piano spirituale queste differenti condizioni non ci turbano più. Per giungere a questo livello occorre diventare inflessibili nella pratica del servizio di devozione, e servire Kṛṣṇa senza deviare significa svolgere le nove attività devozionali (ascoltare, glorificare, ricordare, adorare, offrire preghiere, ecc.) elencate nell’ultimo verso del nono capitolo. Seguire questo metodo è essenziale.
Quando si abbraccia la vita spirituale è naturale evitare la compagnia dei materialisti, perché potrebbe nuocere al nostro progresso; a questo proposito ci si può mettere alla prova verificando fino a che punto si desidera vivere in un luogo solitario, lontano da ogni contatto indesiderabile. Il devoto del Signore perde ogni interesse anche per gli sport e i passatempi futili come il cinema e gli incontri mondani, perché capisce che sono solo una perdita di tempo. Un buon numero di sociologi e filosofi si occupa oggi di svariati problemi, come la vita sessuale per esempio, ma la Bhagavad-gītā non attribuisce alcun valore a questo genere di ricerche e speculazioni, tutte più o meno assurde; c’incoraggia invece ad approfondire con l’analisi filosofica la natura dell’anima e a sforzarci di scoprire il vero sé.
Per quanto riguarda la realizzazione spirituale, è chiaramente stabilito qui che il bhakti-yoga è la via più pratica. Quando si parla di devozione si deve necessariamente considerare la relazione che unisce l’anima individuale all’Anima Suprema. In realtà, l’anima individuale e l’Anima Suprema non possono essere un’unica persona, quest’idea va contro il principio stesso della bhakti, la devozione. L’anima individuale è unita all’Anima Suprema da un’eterna relazione di servizio, come stabilisce chiaramente la Bhagavad-gītā, quindi anche la bhakti, il servizio di devozione, è eterna (nitya). Bisogna esserne filosoficamente convinti.
Lo Śrīmad-Bhāgavatam (1.2.11) insegna: vadanti tat tattva-vidas tattvaṁ yaj jñānam advayam, "Coloro che conoscono realmente la Verità Assoluta sanno che l’Essere Supremo può essere realizzato in tre aspetti: Brahman, Paramātmā e Bhagavān." Bhagavān è l’aspetto finale della Verità Assoluta. Arrivare al culmine della realizzazione spirituale prendendo coscienza di Dio, la Persona Suprema, e servirLo con devozione significa giungere alla perfezione della conoscenza.
Questo metodo di acquisizione della conoscenza è simile a una scala: comincia con la pratica dell’umiltà e si conclude con la realizzazione della Verità Assoluta, Dio, la Persona Suprema. Numerosi sono coloro che salgono i primi gradini, ma se non si arriva fino all’ultimo, il gradino della conoscenza di Kṛṣṇa, si rimarrà a un livello di conoscenza inferiore. Se poi qualcuno vuole competere con Dio e tentare nello stesso tempo di avanzare sulla via spirituale incontrerà solo frustrazione. Non si può raggiungere la conoscenza senza sviluppare l’umiltà, e credersi Dio è il massimo dell’orgoglio. Costantemente castigato dalle leggi della natura materiale, l’individuo può continuare a pensare "sono Dio" solo per ignoranza. Il primo passo verso la conoscenza è dunque l’umiltà (amānitva). Occorre essere umili e consapevoli di essere subordinati al Signore Supremo, perché è proprio la nostra ribellione alla Sua autorità che ci rende schiavi della natura materiale. Dobbiamo esserne convinti.
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17/09/1965
Ci sono uomini di terza o quarta categoria nelle vesti di presidenti o re, ma il loro unico affare è quello di depredare i soldi dei cittadini e uccidere le mucche. Questi sono i governanti del Kali yuga: vestiti da re, ma con qualità di sudra, molto esperti nell‘uccidere le mucche.
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